MILANO È MEMORIA. AL MORESCHI UNA TARGA A RICORDO DI GIORGIO LATIS 

Al Moreschi una targa a ricordo di Giorgio Latis

  • luogo

    IIS Nicola Moreschi - Viale S. Michele del Carso, 25, 20144 Milano

  • data
    27 apr 2023
  • orario
    10:00
Al Moreschi una targa a ricordo di Giorgio Latis

MILANO È MEMORIA. AL MORESCHI UNA TARGA A RICORDO DI GIORGIO LATIS 

Milano, 27 aprile 2023 - Oggi, alle ore 10, presso l'Istituto di Istruzione Superiore Nicola Moreschi (via San Michele del Carso 25), è stata scoperta una targa in ricordo di Giorgio Latis, ebreo e partigiano, morto a Torino il 26 aprile del 1945, espulso nel 1938 dalla scuola insieme ad altri compagni e compagne e ad alcuni professori a seguito dell'applicazione delle leggi razziali. 

Di seguito il racconto sulla persecuzione degli ebrei al Moreschi e su Giorgio Latis per il quale si ringrazia il Prof. Pietro Pittini

La persecuzione degli ebrei al Moreschi e Giorgio Latis.

All'inizio di settembre del '38 con l'espulsione dalle scuole – dalla materna all'università – di tutti gli ebrei (studenti, docenti, impiegati), con una procedura persino più rapida e drastica di quella adottata nella Germania nazista, ebbe inizio quella che è stata definita la “persecuzione dei diritti” messa in atto dal regime fascista nei loro confronti; resa sempre più aspra e pervasiva nei cinque anni seguenti, divenne “persecuzione delle vite” nel '43, con la nascita della R.S.I. 

Anche al “Moreschi” la persecuzione colpì duramente: furono cacciati due docenti, il Preside Loria e dieci studenti sui 431 frequentanti.
I due docenti, la professoressa Elsa Della Pergola che insegnava al Corso inferiore (corrispondente all'attuale Scuola Media) e il Prof. Eugenio Levi, in servizio al Corso superiore ormai da una ventina d'anni, vennero messi in congedo il 16 settembre, sospesi il 16 ottobre e dispensati – cioè licenziati – il 14 dicembre.
La Della Pergola subì delle conseguenze dell'espulsione ancora nel dopoguerra, quando aveva ripreso a insegnare, perché a ogni trasferimento da un istituto all'altro doveva produrre dei documenti per provare che l'interruzione del servizio non era dipesa da lei. 
Eugenio Levi aveva già al suo attivo – come risulta dal fascicolo personale – una ventina di pubblicazioni: traduzioni ed edizioni commentate di classici latini e greci, traduzioni dal tedesco, dal francese e dall'inglese, un dizionario di Latino, un manuale di arabo...Nel dopoguerra ottenne un premio per un saggio di critica teatrale. Questo fa capire come le norme razziste che colpivano gli studiosi ebrei, spesso costretti a emigrare, privassero scuole e università italiane di ingegni preziosi per il paese.
Il prof. Levi, la prof.ssa Della Pergola e il Preside Loria parteciparono alla rapida costituzione della scuola ebraica di Via Eupili, dato che era consentito agli studenti ebrei di proseguire gli studi in scuole separate (a carico della Comunità ebraica), in modo che non inquinassero con la loro presenza i compagni di presunta “razza ariana”...Levi svolse un ruolo importante sia in via Eupili (dove riuscì a far svolgere gli esami di settembre nel '43, con i tedeschi che già stavano occupando Milano) sia nella scuola ebraica nel dopoguerra, di cui fu un importante riferimento fino in età avanzata. 
Ben diversa fu la vicenda del Preside Arturo Loria: laureato in Matematica alla Normale di Pisa, autore di testi per la sua materia, già Preside di altri istituti e nominato Direttore (come allora si diceva) del Regio Istituto Commerciale nel 1923, in quanto vincitore di concorso, aveva il grande merito di aver ottenuto per l'Istituto la sede attuale, ambita da molti. Non era stato facile, come risulta dalla cospicua documentazione; altrettanto faticoso era stato ottenere, con continue sollecitazioni e confronti con il Comune e il Ministero, le risorse indispensabili per i laboratori e le attrezzature didattiche...
E dopo tutti questi sforzi, coronati da successo, venne - come i suoi docenti – sospeso e poi licenziato, e incontrò pure difficoltà per avere la pensione. Fu un trauma da cui Loria non si riprese; logorato dallo stress, morì nel dicembre 1939 a sessantadue anni.
Per gli studenti espulsi non si è ritrovato un elenco stilato all'epoca, come in altre scuole, né ci sono comunicazioni individuali, perché semplicemente era impedita l'iscrizione a chi non poteva dichiarare, con apposito modulo, l'appartenenza alla presunta razza ariana. Incrociando vari dati, si è tuttavia potuto accertare che sicuramente dieci studenti furono espulsi; i nomi, riportati sul pannello ma che vogliamo comunque ricordare, sono:
Reinheimer Gerardo, Cicurel Alberto, Eichenberger Renzo, Cohen Mario, Cohen Maurizio e Leoni Ernesto del Corso Inferiore; 
Samaia Aldo, Levi Franco, Samaia Silvana e Latis Giorgio del Corso Superiore.

Dei dieci, pare che solo uno sia caduto nella tempesta della Shoà e della guerra, ed è proprio Giorgio Latis; alla sua memoria oggi dedichiamo giustamente uno spazio particolare, perché sacrificò la sua giovane vita (venticinque anni!) per la nostra libertà.

Era nato a Modena nel 1920, ma la famiglia nel '32 si trasferì a Milano e venne ad abitare a due passi dal “Moreschi”, in Via Verga 15.
Allievo intelligente, vivace e irrequieto (sempre con 8 in condotta), grande lettore, con vasti interessi culturali, fu amico di giovani destinati a diventare protagonisti del mondo della cultura, come Giorgio Strehler, Vittorio Sereni, Franca Valeri. Dopo l'espulsione dal Moreschi studiò come privatista, diplomandosi nel giugno 1939. Eludendo le leggi contro gli ebrei, riuscì a lavorare per una ditta di impianti elettrici. Questo non gli impedì di dedicarsi a quello che più lo appassionava: insieme ai cugini Vito, Gustavo e Marta Latis allestì un teatro di marionette, adattando testi di Dickens, Lorca, Cocteau e organizzando gli spettacoli nei salotti milanesi.
Nel novembre '43, quando ormai tedeschi e repubblichini davano la caccia agli ebrei, accompagnò i genitori e la sorella oltre il confine Svizzero e tornò a Milano convinto che fossero in salvo. I Latis invece vennero respinti dagli svizzeri; catturati dai tedeschi, furono rinchiusi a S. Vittore e deportati ad Auschwitz nel gennaio '44 col Convoglio n. 6, lo stesso di Liliana Segre. I genitori furono uccisi già all'arrivo, la sorella sopravvisse qualche mese.
Giorgio non pensò a mettersi in salvo ma entrò nella Resistenza (nome di battaglia “il Biondino”, poi cambiato in “Albertino”) aderendo al Fronte della Gioventù, diretto da Eugenio Curiel; attivo a Milano e in Brianza, fu arrestato per una delazione e rinchiuso a S. Vittore. Riuscì però a fuggire grazie alla sua prontezza di spirito e capacità di improvvisazione durante una corvée di sgombero delle macerie alla fabbrica Innocenti dopo un bombardamento (visto che la sorveglianza era allentata, gridò “C'è una bomba! Scappate!”. Ci fu una fuga generale e lui ne approfittò per allontanarsi).
Aderì poi al Partito d'Azione e passò in Piemonte, che percorreva instancabile in bicicletta. Qui rivelò straordinaria audacia e grandi capacità organizzative, occupandosi delle formazioni di “Giustizia e Libertà” e predisponendo sabotaggi, trasporti di armi, recupero dei lanci degli Alleati. Collaborò con personalità come Galante Garrone, Ada Gobetti (che lo ricorda nel suo “Diario partigiano”), Edgardo Sogno. 
Gli fu affidato il cosiddetto “Ufficio Kappa”, che si occupava dell'assistenza ai detenuti politici. Qui seppe valersi della sua propensione per il teatro: era in grado di entrare e uscire dalle “Nuove”, le carceri di Torino, assumendo false identità; coinvolse medici e infermieri, realizzò scambi di prigionieri. Riuscì a far evadere un partigiano dal carcere di Vercelli e, travestendosi da ufficiale repubblichino, prelevò dal carcere di Alessandria due compagni di lotta che dovevano essere fucilati il giorno dopo!
Il 26 aprile 1945 Torino insorse; Latis si offrì di portare alle formazioni della Resistenza sulle colline l'ordine di entrare in città. Partì in auto con documenti in cui figurava come medico. In uscita, passò senza problemi il posto di blocco di Reaglie; al ritorno, però, c'era una diversa formazione dell'esercito repubblichino, più guardinga. Giorgio fu perquisito, fu trovato in possesso di documenti compromettenti e immediatamente fucilato sul posto con una scarica di mitra. 
Dopo una lunga procedura burocratica, rallentata da un errore di date, nel 1996 gli fu attribuita la medaglia d'argento alla memoria.