Antonio Mancini - Autoritratto con guanti neri

Antonio Mancini - Autoritratto con guanti

Nuova acquisizione

Una nuova acquisizione per la Galleria d'Arte Moderna di Milano: Autoritratto con guanti neri di Antonio Mancini

Antonio Mancini

Roma 1852 – Roma 1930
Autoritratto con guanti neri (Autoritratto con guanto)
Olio su tela, cm 91 x 72
Firmato due volte, in alto a sinistra e in basso a sinistra “A. Mancini”
Comodato Direzione Regionale Musei Lombardia

Provenienza:
Fernand Du Chène de Vère; Clementina Pignatelli, nata Du Chène de Vère; collezione Pignatelli; collezione privata.

Il dipinto raffigura un autoritratto a mezzobusto di Mancini all’età di circa sessant’anni, il volto sorridente di tre quarti rivolto verso l’osservatore mentre il busto è di profilo. Tiene in mano un guanto nero, che dà il titolo al dipinto e si staglia sul fondo grigio neutro. La figura è inscritta all’interno di un ovale, a cui non corrisponde la forma della cornice, forse non originale.
Sul retro la tela presenta una figura di giovane ritratta a mezzo busto e di profilo, che osserva un oggetto che solleva con le mani. Il dipinto su questo verso, pur ad un avanzato stadio di elaborazione, sembra non essere stato terminato.
Nato a Roma, Mancini si formò principalmente a Napoli, dove la famiglia si era trasferita nel 1865. Qui entrò nell’Istituto di Belle Arti nello stesso anno, ottenendo i primi precoci riconoscimenti e entrando in contatto con Domenico Morelli – professore di pittura dal 1868 – il quale ebbe un peso fondamentale nella sua formazione. Pur lontano dai temi storicisti del maestro, Mancini ne deriva una pittura fondata su valori formali e sul virtuosismo tecnico. Morelli indirizzò Mancini allo studio della grande tradizione del Seicento napoletano, che costituirà un riferimento costante di tutta la sua produzione e da cui il pittore assimilò la lezione di un naturalismo umano e palpitante. Fin dalle prime opere Mancini rifiuta infatti temi e soluzioni d’accademia, per volgere lo sguardo alla realtà popolare che lo circondava, traendo di preferenza i suoi soggetti dall’umanità delle strade e dei vicoli della città partenopea. Nasce in questi anni una galleria di giovani scugnizzi, saltimbanchi, ragazzi di strada ritratti con un realismo alieno da qualunque denuncia sociale ma pieno di partecipazione umana e psicologica, resi con una tavolozza contrastata e una pennellata mossa, che vengono notati dalla critica e gli assicurano le primi commissioni. Nel 1871 conosce il musicista belga Albert Cahen, che diventa suo patrono e committente privilegiato, inaugurando una tipologia di rapporti mecenatizi con collezionisti – soprattutto esteri – che caratterizzerà tutta la sua carriera. È Cahen a introdurlo all’ambiente dei Salon di Parigi, dove Mancini si reca una prima volta nel 1875, ottenendo un contratto con la celebre Maison Goupil. I difficili anni parigini, che saranno la causa anche della fine dell’amicizia con Vincenzo Gemito, conosciuto negli anni della formazione, non fermano la teoria di committenti importanti. Nel 1885 conosce Hendrik Willem Mesdag, suo collezionista, mecenate e principale intermediario con la committenza olandese (nella cui collezione, conservata nell’omonimo museo dell’Aja, si conservano numerosi capolavori del pittore); nel 1883 il marchese Giorgio Capranica del Grillo, il quale lo introduce ai collezionisti e artisti internazionali residenti o di passaggio a Roma, come Hugh Lane, direttore del Museo municipale di Dublino, che diventa suo estimatore e mecenate (ragione per cui il museo irlandese conserva numerose opere di Mancini). Nel 1908 è la volta del mercante prussiano Otto Messinger, che lo indirizza verso soggetti neosettecenteschi. Con otto opere commissionate da Messinger Mancini partecipa all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911, ottenendo grande successo e il primo premio per la pittura. In questa occasione è notato da quello che diventerà in breve uno dei suoi più importanti sostenitori e mecenati, alla cui storia si lega il dipinto in esame. 
L’Autoritratto col guanto è infatti la prima opera acquistata da Fernand du Chène de Vère, ricco industriale francese trapiantato a Milano, che sostituì Messinger, con cui il rapporto si era interrotto, proponendo al pittore un contratto in esclusiva rinnovato annualmente dal 1912 e mettendogli a disposizione la villa Jacobini a Frascati (Cecchi 1966, p. 251; Virno 2019, p. 375). L’opera va datata al 1910 e appartiene quindi a un momento di raggiunta maturità espressiva e di riconoscimenti internazionali: il Ritratto di Giorgio Capranica del Grillo e il Ritratto della signora Pantaleoni verranno premiati rispettivamente all'Esposizione universale di Saint Louis del 1904 e a quella internazionale di Monaco di Baviera del 1905, del 1911 è il già citato premio romano e nel 1913 Mancini viene nominato Accademico di merito di San Luca.
Il dipinto ritrae un artista conscio del proprio valore ma alieno da qualunque volontà autocelebrativa, e condensa alcuni elementi e temi che attraversano l’intera attività di Mancini. Anzitutto è un tassello importante nella lunghissima galleria di autoritratti realizzati dall’autore, che in una vera e propria ossessione si ritrasse in un numero incredibile di dipinti, dai primi anni fino alla vecchiaia, tanto da poter considerare il genere come uno strumento di analisi, che infatti sembra intensificarsi nei mesi drammatici, tra il 1881 e il 1882, in cui Mancini è rinchiuso in manicomio; nel 1929, quando è fra i primi a essere accolto nella Reale Accademia d'Italia, esegue un Autoritratto (collezione privata) sul quale annota le principali scansioni del suo percorso professionale ed esistenziale, mentre fra le ultime opere dipinte prima di morire vi è proprio un autoritratto (Autoritratto con turbante rosso, collezione privata). Qui Mancini sembra restituire un ritratto insolitamente sereno di sé, caratterizzato da un sorriso sereno; altro tema, quello della risata in tutte le sue sfaccettature, dall’allegria alla pazzia, che contrassegna la sua intera opera. Caratterizzato da una stesura liquida e mossa, lontana dalla ricchezza materica di altre opere coeve, la tela mostra gli echi della tradizione napoletana seicentesca e ripropone dettagli iconografici manciniani ricorrenti, come il guanto nero, la cui sagoma informe si staglia sul fondo quasi come un’ombra inquietante, elementi presenti in un capolavoro precoce come Dopo il duello (Torino, Galleria d’Arte Moderna).
La figura sul retro, di ispirazione affatto differente, trova raffronti in numerose figure intente a osservare oggetti della pittura manciniana, ma ha un motivo di interesse particolare nella sua tecnica esecutiva, evidenziata dallo stato di non finito. Dalla fine del nono decennio dell’Ottocento Mancini inizia, infatti, a utilizzare in maniera via via più consapevole il sistema della graticola, consistente in due telai con quadrettatura di spago, posti uno di fronte al modello e uno davanti alla tela, il cui tracciato viene lasciato a vista sul dipinto, come si vede molto bene nell’opera in esame. Questa tecnica, dapprima apprezzata dalla critica e in seguito stigmatizzata, fu ampiamente descritta dall’artista stesso in numerosi appunti, oltre alle varie testimonianze di quanti frequentarono il suo studio e si occuparono della sua pittura (cfr. L. Cecchi Pieraccini, Lo studio di Antonio Mancini, in “Art Club”, dicembre 1962, pp. 36-40).
Da Fernand Du Chène de Vère, il dipinto passò in proprietà alla figlia Clementina (detta Tina), che sposò il principe Diego Pignatelli di Terranova. Dell’appartenenza alla collezione Pignatelli sono testimonianza le etichette storiche presenti sul retro della cornice.

Omar Cucciniello
Conservatore Galleria d'Arte Moderna Milano

Bibliografia:
F. Geraci, Centocinque opere di Antonio Mancini, in “Corriere padano”, 20 aprile 1940;
C. E. Oppo, Ottocento pittorico. Antonio Mancini, in “Frontespizio”, XII, 1940, ill. p. 456;
E. Zanzi, in 105 opere di Antonio Mancini. Mostra commemorativa sotto gli auspici della Reale Accademia d'Italia nel decennale della morte, catalogo della mostra (Torino, Marzo 1940), Torino, 1940, p. 24 n. 96, ill. copertina;
A. Schettini, Mancini, Napoli, Stiped, 1953, p. 230;
F. Bellonzi, C. Lorenzetti, in Antonio Mancini, catalogo della mostra (Milano, Galleria d’Arte Moderna), Milano, Martello, 1962, p. 38 n. 55, tav. LV;
Storia della pittura italiana dell’Ottocento, Milano, Bramante, 1975, I, p. 194;
C. Virno, Antonio Mancini. Catalogo ragionato dell’opera. Pittura a olio, Roma, De Luca, 2019, p. 375 n. 648.

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